Toscana: il piroscafo della fine e dell’inizio

Viaggiare nei ricordi, nella memoria di una partenza imprevista e improvvisa, prima della catastrofe, per promuoverne la conoscenza fra le giovani generazioni. Questo è il progetto “Toscana: il piroscafo della fine e dell’inizio” che prende il nome dalla nave famosa soprattutto per aver trasportato più di 16 000 esuli istriani che fuggivano da Pola a Venezia e verso Ancona, e quindi verso l’ Italia , a causa dell’annessione dell’Istria alla Iugoslavia.

Famiglie, studenti, imprenditori, commercianti, capitani di lungo corso e marinai, artigiani e sarte, operai e pescatori vivevano a Fiume, Zara e Pola. Li avevano la casa, i parenti e gli amici, e tutti/e speravano, finita la guerra, di ricominciare. Ma la Storia, per chi viveva nelle terre dell’Adriatico orientale, aveva deciso diversamente. Finita la seconda Guerra Mondiale iniziò una forte pressione nei confronti della popolazione italiana che in gran parte da secoli (dai tempi del dominio della Serenissima) abitava su quelle coste e in diversi paesi dell’entroterra. In un tragico scontro prevalsero le ideologie, nazifascista prima e comunista dopo, e persero le persone comuni. La gente si trovò a dover scegliere fra un futuro in cui non c’era neppure la certezza di restare vivi e la partenza. Si sussurrava di persone sparite nelle foibe, di fucilazioni sommarie, di giovani buttati in mare con una pietra al collo.

Partirono in 300000. In vari viaggi il piroscafo Toscana porterà in Italia 16000 esuli che, come gli altri, finiranno nei campi profughi, posti orribili, in cui gli esuli vissero anche per molti anni in condizioni disastrose. Da lì verranno mandati un po’ alla volta in tutta Italia e dovranno cominciare una seconda vita. Altri andranno all’estero (Canada, Australia, Argentina).

Per comporre il progetto sono stati intervistati esuli, donne e uomini, provenienti da luoghi differenti (Fiume, Zara, Parenzo e altri). Gli esuli ora vivono in Emilia, tra Bologna, Modena e Carpi. Diversi sono cresciuti nel campo profughi Villaggio San Marco di Fossoli. Le loro testimonianze sono portatrici di una memoria che parla di uno sradicamento, dei ricordi dell’infanzia interrotti da un esilio forzato, del trauma di trovarsi nei campi profughi, dell’accoglienza spesso poco cordiale da parte degli abitanti dei luoghi in cui furono destinati. Di fronte a questa catastrofe ognuno ha la sua storia, la propria reazione, a volte anche molto forti, di un dolore mai sopito. Una storia di fine, ma anche di ripartenza. Dopo i primi anni molto faticosi gli esuli si sono inseriti in città per loro nuove, dove mancava il mare, dove c’era la nebbia, dove si parlava un altro dialetto.